martedì 15 giugno 2010

Sospensione delle attività didattiche

Avviso urgente

In segno di protesta contro i tagli previsti per il comparto universitario dall’ultima manovra finanziaria del Governo, il Consiglio della Facoltà di Lettere e Filosofia nella seduta del 10 giugno 2010 ha deliberato il blocco di tutte le attività didattiche a partire del 15 giugno p.v.
Il Consiglio di Facoltà ha inoltre deliberato di indire un Consiglio straordinario, aperto agli studenti, per il 17 giugno p.v. alle ore 11 presso l’aula 1 del Polo didattico di Via Bellini.

lunedì 10 maggio 2010

bozza di indice per la tesina

Prof. ho pensato ad una bozza di indice per la mia tesina:
  • introduzione personale
  • articolo di giornale di riferimento
  • il termine eutanasia:

- che cosa è?

- storia dell'eutanasia

- cognizione giuridica dell'eutanasia in Italia e in altri Paesi

  • il termine libertà
  • critica all'articolo di U. Veronesi (alle sue affermazioni)

- approfondimento sui 2 testi citati

  • differenza tra eutanasia attiva e passiva
  • differenza tra eutanasia infantile ed eutanasia per persone in condizioni irreversibili
  • art. 32 cost.
  • il testamento biologico
  • il consenso informato
  • codice di deontologia medica
  • due casi: E. Englaro e G. Welby
  • conclusione con considerazioni personali.

Gli argomenti da trattare mi rento conto che sono molti e vasti quindi durante l'elaborazione vedrò di fare degli aggiustamenti. Cosa ne pensa Prof.?

Grandi Alessio

giovedì 6 maggio 2010

5 e 6 maggio

Obiezione di coscienza per i farmacisti sulla pillola del giorno dopo (articolo de Il Corriere della Sera, il ddl non è ancora sul sito del Governo).

Donazione samaritana: legge esistente. Reazioni di due bioeticisti cattolici (Francesco D'Agostino, ex presidente del CNB e il comunicato del centro di ateneo di bioetica della università cattolica di cui Adriano Pessina è direttore).

Il Parere del CNB.
Il sito del Comitato Nazionale per la Bioetica.

Il blog di don Franco Barbero. Intervista.

venerdì 30 aprile 2010

Avviso

L'11 e il 12 maggio non ci sarà lezione.

mercoledì 28 aprile 2010

27 e 28 aprile

Sulla trasformazione della medicina e dei medici (e sull'uso del termine eutanasia). Qui qualche altra informazione al riguardo.

La banalità del male di Hannah Arendt (1963, Eichmann in Jerusalem - A Report on the Banality of Evil, molte pagine sono leggibili qui).


Qualche spunto sul pezzo che abbiamo letto e commentato (utile anche per la stesura della tesina).

Veronesi: la scelta dell'eutanasia è la forma più alta di libertà.
L' affermazione dell' ex ministro della Sanità nella prefazione di due libri sulla «dolce morte».

Il Corriere della Sera, 16 febbraio 2010.
MILANO - «La scelta dell'eutanasia può essere vista come la forma più alta di libertà». Parole di Umberto Veronesi, oncologo di fama ed ex ministro della Sanità. Parole ben ponderate, visto che sono state ripetute per ben due volte nelle prefazioni di due libri sull'eutanasia, in questi giorni sugli scaffali. Il primo libro, «La dolce morte» (Sonzogno, in libreria a marzo), è di Marie de Hennezel, la psicologa francese diventata famosa per avere ospitato nel suo precedente volume, «La morte amica», il testamento spirituale dell'ex presidente francese François Mitterrand. Il secondo libro con prefazione di Veronesi - «Il posto delle fragole» (Armenia) - è della sociologa e psicologa Serena Foglia e raccoglie commenti di altri personaggi noti, da Francesco Alberoni ad Antonio Tabucchi. L'ex ministro appare ben consapevole della forza della sua presa di posizione, mai così esplicita, tanto che nella prefazione si affretta ad aggiungere: «Mi rendo conto, sono parole forti, sono sentimenti difficili da accettare, è una dura presa di coscienza di un traguardo che tutti dobbiamo attraversare. Scegliere per chi amiamo la "dolce morte" può essere un gesto di coraggioso amore, una dimostrazione che il nostro amore per la sua vita, ora sofferente, va oltre il nostro bisogno della sua presenza». Parole che vanno persino oltre le tesi esposte da Marie de Hennezel nel suo volume: «Il mio libro - spiega - non è né contro né a favore dell'eutanasia. Semmai è a favore delle cure palliative: è dimostrato che il 90 % delle richieste di morire non ci sarebbero se i malati si sentissero meno soli. Questo libro vuole rompere un tabù e aiutare ad aprire un dibattito». Un approccio condiviso con il ministro: «L'ho incontrato a Palermo lo scorso anno a una conferenza - dice la Hennezel - e mi è sembrata una persona sensibile a questi temi. In Italia, invece, so che le cure palliative sono poco sviluppate rispetto alla Francia, nonostante l'impegno della fondazione Florian di Milano». Veronesi, come la Hennezel, si guarda bene dall'offrire facili soluzioni a un problema così complesso. E nella prefazione al libro della Foglia scrive: «Non esistono regole, non esistono leggi, non esiste una via giusta e unica: ogni caso va analizzato nella sua singolarità».
Le prime due parole che devono essere chiarite e definite sono eutanasia (vedi anche sopra) e libertà. Usarle senza chiarirne il significato implica inevitabilmente ambiguità e confusione.
Il termine eutanasia vine spesso usato, soprattutto da chi la condanna, con tutto il peso dei ricordi di quanto avvenuto, per esempio, negli anni del nazismo o, peggio, per trascinare la condanna giusta verso veri e propri omicidi (chiamati eutanasia) sulla discutibile condanna verso la possibilità di decidere riguardo alla propria vita e alla propria morte (chiamata anche questa eutanasia). Un pezzo molto interessante di Anna Meldolesi al riguardo: Su Eluana e sull'eutanasia.

Che cosa intendiamo con libertà? I significati cono innumerevoli. Dovremmo chiarire che cosa qui verosimilmente si intende (ed eventualmente in quale significato la usiamo noi nella nostra analisi).

Il punto più controverso è la prima frase in rosso. Perché? Che cosa risulta inaccettabile?

I dati che vengono riportati meriterebbero un controllo, così come l'implicazione
"più cure palliative" ---> "meno richieste di morire".

Infine l'ultima affermazione: c'è qualcosa che non va nel sostenere che non esistono leggi e che ogni caso va considerato di per sé?


Possibili approfondimenti: qual è la situazione normativa italiana? Quali sono i riferimenti giuridici esistenti?
(Sulle questioni di fine vita un testo utile è quello di James Rachels, Quando la vita finisce. La sostenibilità morale dell'eutanasia: uno dei nodi della riflessione di Rachels riguarda la presunta differenza morale tra eutanasia attiva e passiva).

Uccidere e lasciar morire

È opinione diffusa che esista una differenza tra uccidere e lasciar morire (differenza su cui si fonderebbe la distinzione tra eutanasia passiva ed eutanasia attiva). Dal punto di vista morale non esiste una differenza.
C’è identità morale tra un’azione e un’omissione che abbiano il medesimo esito: la fine della vita.
La cosiddetta tesi dell’equivalenza dice che non esiste una differenza rilevante dal punto di vista morale tra uccidere e lasciar morire. Ciò non significa che non ci possano essere ragioni per ritenere un atto di uccisione peggiore di un atto di lasciar morire, piuttosto che “il semplice fatto che uno è uccidere, mentre l’altro è lasciar morire, non fa parte di queste ragioni”, per usare le parole di James Rachels.

L’esempio di James Rachels è il seguente.

Caso 1: Rossi erediterebbe molti soldi se suo cugino di 6 anni morisse. Una sera il bambino fa il bagno; Rossi entra, lo affoga, sistema le cose per simulare un incidente. Nessuno lo scopre, e lui eredita.

Caso 2: Verdi erediterebbe molti soldi se suo cugino di 6 anni morisse. Una sera il bambino fa il bagno; Verdi entra con l’intento di affogarlo, ma il bambino scivola e batte la testa. Nel giro di qualche minuto affoga senza che Verdi sia intervenuto. Verdi eredita.

Rossi ha ucciso il cuginetto, invece Verdi lo ha soltanto lasciato morire. Saremmo forse disposti a dire che il comportamento di Verdi sia moralmente preferibile al comportamento di Bianchi? In base alla tesi “tradizionale” dovremmo: se lasciar morire è diverso e moralmente preferibile all’uccidere, allora dovremmo dire che Verdi si è comportato meglio di Rossi.
L’intento di Rossi e Verdi è il medesimo: ottenere l’eredità tramite l’eliminazione dell’ostacolo (il cugino di 6 anni).
Il risultato è il medesimo: la morte del bambino e l’eredità al farabutto.
La conseguenza era ugualmente necessaria tanto nell’azione che nell’omissione: la morte.
Tutte le attenuanti sarebbero valide tanto nel caso di Rossi che in quello di Verdi. Il fatto che il primo abbia ottenuto l’eredità tenendo il bambino sott’acqua, e il secondo si sia limitato a guardarlo affogare, non costituisce di per sé una differenza moralmente rilevante.
Alcuni degli argomenti proposti per contrastare questa equivalenza sono noti, si potrebbe dire abusati. Ne propongo alcuni.
La condanna assoluta dell’uccidere e la profonda differenza rispetto al lasciare morire, secondo alcuni, sarebbe dimostrata dall’evidente inaccettabilità morale dell’essere la causa della morte di qualcuno. Ma quanto andrebbe dimostrato, ancora una volta, è che esiste una differenza moralmente rilevante tra staccare il respiratore e praticare una iniezione. Differenza invece flebile, e moralmente inconsistente per le ragioni che sono state esposte.
Per alcuni sarebbe sufficiente invocare il compito proprio della medicina per scansare il dubbio che anche provocare la morte rientri nel dominio squisitamente medico. In altre parole si richiama il dovere di non far male al prossimo (in generale, non solo del medico) e lo si definisce molto più forte del dovere di aiutare il prossimo. Senza dubbio il dovere morale e professionale del medico è quello di stare vicino al paziente, di aiutarlo. Ma la questione diventa allora: uccidere (aiutare a morire) un paziente in agonia significa necessariamente e unicamente fargli del male? Oppure in alcune circostanze può essere un atto doveroso, e
addirittura preferibile rispetto al tenerlo in vita a tutti i costi e, soprattutto, contro la volontà del paziente stesso? D’altra parte lo spirito della condanna verso il cosiddetto accanimento terapeutico è proprio la consapevolezza che in alcune circostanze la resa è la scelta giusta, e che anche la morte rientra nei compiti del medico.
Qualcuno invoca il coinvolgimento del medico come ostacolo insuperabile al provocare attivamente la morte di un paziente. Se è comprensibile che ci possano essere resistenze e difficoltà nel causare direttamente la morte di una persona (per quanto gravemente malata e per quanto abbia espresso il desiderio di morire), non bisogna mai dimenticare che le reazioni personali o psicologiche devono essere distinte dagli ostacoli morali, e soprattutto le credenze morali devono essere sottoposte al vaglio, perché non è detto che credere che un atto sia sbagliato (eutanasia attiva) implichi che quell’atto sia davvero sbagliato.
La concezione della medicina è mutata anche in seguito all’impetuoso sviluppo della biomedicina, che ha permesso atti un tempo impensabili. Quando curare diventa impossibile la medicina deve affrontare la morte, la medicina ha a che fare con la vita e la guarigione, ma deve necessariamente fare i conti con la morte e, per il bene del paziente, questa dovrebbe essere meno dolorosa possibile, a meno che non vi sia una richiesta diversa da parte del paziente.

mercoledì 21 aprile 2010

20 e 21 aprile

A proposito di eugenetica:

Auschwitz: il Blocco 10
La visione biomedica e l’ideologia razziale sono alla base di una espressione dell’eugenetica negativa per alcuni aspetti ancora più atroce delle uccisioni dirette: la sterilizzazione. Gli individui in buone condizioni fisiche potevano essere sfruttati per lavorare, invece che eliminati; a condizione, però, che fosse loro impedito di trasmettere il loro sangue impuro, propagando l’infezione razziale. La Legge sulla Sterilizzazione (14 aprile 1933) aveva giustificato la sterilizzazione chirurgica di mezzo milione di cittadini tedeschi indegni di riprodursi; ma questa prima fase del progetto di ‘igiene razziale’ era costato quattordici milioni di Reichsmark, troppo per ampliare la sterilizzazione al mondo. L’obiettivo era di trovare un metodo economico e veloce per la sterilizzazione di massa. I campi di concentramento erano il luogo ideale per sperimentare metodi alternativi alla costosa chirurgia. Erano disponibili cavie umane in assenza totale di limiti morali.
Il Blocco 10 di Auschwitz era composto principalmente da prigioniere; era un luogo inaccessibile agli sguardi esterni e all’interno si consumarono crimini atroci camuffati da esperimenti medici e scientifici. Le condizioni di vita nel Blocco 10 erano migliori delle condizioni del Lager, perché altrimenti il materiale da esperimento non sarebbe stato adatto. Le cavie non dovevano morire prima di avere svolto il compito assegnato loro. Una parte del Blocco 10 era esclusivamente destinata alla ricerca sulla sterilizzazione. La principale autorità medica in questo settore era Carl Clauberg, sostenuto da Himmler nella ricerca di un metodo economico e efficace di sterilizzazione di massa. Clauberg usava un metodo sperimentale: iniettava una sostanza caustica nella cervice uterina allo scopo di ostruire le tube di Falloppio. Scelse donne diverse per costituzione ed età, con preferenza verso quelle che avevano avuto figli. A tutte faceva diverse iniezioni nel corso di alcune settimane per provocare ostruzioni e danni nell’apparato riproduttivo, che egli verificava tramite radiografie. Molte delle donne morivano a causa di infezioni. In una lettera scritta a Himmler emergono gli obiettivi criminali della ricerca di Clauberg, intrisa di ideologia politica. Clauberg sottolinea l’importanza della politica demografica negativa, e la possibilità di sterilizzare senza interventi chirurgici donne indegne di riprodursi: la sterilizzazione eugenica per mezzo di farmaci.
Un altro programma di sterilizzazione di massa venne portato avanti da Horst Schumann tramite i raggi X: in poco tempo e con una spesa molto bassa potevano essere sterilizzate molte persone. L’ideale per preservare gli ebrei in grado di lavorare, ma per impedire loro di riprodursi. L’esperimento prese il via nel Blocco 30 di Birkenau, in cui i soggetti sperimentali – spesso all’oscuro di ciò che stava per accadere – venivano fatti entrare in una saletta di attesa, introdotti uno per uno nel laboratorio e sottoposti a raggi X. Le donne venivano inserite in due lastre che comprimevano la schiena e l’addome prima di subire le radiazioni; gli uomini poggiavano i testicoli e il pene su una speciale lastra. Molto spesso le donne riportavano gravi ustioni e sintomi di peritonite. Qualche tempo dopo le ovaie erano asportate chirurgicamente, con un intervento invasivo e grossolano che implicava complicazioni di varia natura, emorragie, infezioni, morte. L’intervento durava pochi minuti, dopo una rozza e dolorosa puntura lombare per l’anestesia parziale. “Presero noi perché non avevano conigli”, raccontò una giovane ebrea greca sopravvissuta all’intervento e alle gravi conseguenze.
Gli uomini riportavano scottature nell’area intorno ai genitali. Le vittime raccontarono della raccolta dello sperma tramite un apparecchio ideato da Schumann stesso (una specie di bastone introdotto nel retto che stimolava la prostata e provocava l’eiaculazione), dell’asportazione di uno o entrambi i testicoli in leggera anestesia. Le conseguenze di questi brutali interventi erano emorragie, setticemia, perdita di tono muscolare derivante dalle ferite. Molti morivano in poco tempo. Un gruppo di giovani polacchi dovette essere sottoposto a dosi particolarmente massicce di raggi X, tanto che i loro genitali marcirono.
Il delirio di sperimentazione godeva di assoluta libertà in assenza di ostacoli morali: la più potente arma di assoluzione si radicava nell’idea che quelle persone erano comunque condannate a morte, e pertanto non si stava procurando loro alcun danno.

(Qui trovate in pdf un capitolo che avevo dedicato alla questione. Il libro di Robert J. Lifton è molto interessante).

Sulla epidurale questo blog è interessante, ricco di informazioni e di storie: http://epidurale.blogspot.com/.

Il parto in acqua: qui e qui.

What's in the water at waterbirth?

domenica 18 aprile 2010

Materiali per le prossime lezioni

Quando la Tecnica si arrende alla Natura, di Emanuele Severino, Il Corriere della Sera, 18 aprile 2010.
Secondo la scienza l'Universo è incominciato con un'immane catastrofe, il big bang che ha squarciato i «sovrumani silenzi», e terminerà con un'altra non meno gigantesca catastrofe, l'entropia, la degradazione dell'energia, che a quei silenzi riconduce. Nel frattempo altre catastrofi devastano l'Universo e la Terra. Tra l'una e l'altra, intervalli che all'uomo sembrano lunghissimi e nei quali, d'altra parte, e frequenti, altre «minori» catastrofi si producono, quelle che uccidono migliaia di persone e di cui danno notizia i mass media. Il potenziale tecnico dell'uomo non è ancora in grado di fronteggiarle. Come sta accadendo con l'eruzione del vulcano islandese. Quel potenziale è invece in grado di gareggiare con la distruttività del fenomeno entropico: se scoppiasse un conflitto nucleare tra Stati Uniti e Russia la terra sarebbe distrutta tanto quanto potrebbe esser distrutta dalla «Natura». Sul piano della distruttività Tecnica e Natura si combattono alla pari.

E dire che la Natura «si ribella» ha senso solo in relazione ai progetti dell'uomo. La sua ribellione, inoltre, può essere ben più radicale di quelle a cui ci è dato di assistere. A volte ci si trova di fronte ad affermazioni che sembrano inoffensive. Ad esempio questa, che le leggi della scienza (da cui la Tecnica è guidata) sono ipotetiche, cioè non sono verità assolute. Spesso gli scienziati se ne dimenticano. Ma l'ipoteticità delle leggi scientifiche significa ad esempio che un corpo, abbandonato a sé stesso, da un momento all'altro, invece di cadere verso il basso potrebbe andare verso l'alto. Qui la ribellione possibile della Natura è ben più radicale. La provvisorietà della destinazione della Tecnica al dominio del mondo è ancora più marcata.

Si fa avanti, in tutta la sua gravità, il problema della salvezza dell'uomo. Chi ci pensa? Quelli che si danno da fare per uscire dalle crisi economiche e politiche? Sì, a quel problema le religioni si rivolgono. Ma con la fede. E la fede è ipotetica come le leggi della scienza. Ma l'uomo è destinato ad aver a che fare soltanto con ipotesi e a soppesare soltanto con ipotesi il pericolo da cui è circondato?
Sulla questione della legittimità morale della interruzione volontaria di gravidanza: Judith Jarvis Thomson, A Defense of Abortion, Philosophy & Public Affairs, Vol. 1, no. 1 (Fall 1971).

Sentenza della Corte Costituzionale sui matrimoni tra persone dello stesso sesso (il commento di Marco Gattuso).